Unione di Comuni e Centrali Di Committenza

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Con l’ordinanza 3 gennaio 2019, n. 68, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di Giustizia UE di pronunciarsi sulla conformità ai principi del diritto euro-unitario delle disposizioni del vecchio codice di cui al D.lgs. n. 163/2006, relative alle centrali di committenza che operano per i piccoli comuni.

Come noto, infatti, le disposizioni di cui all’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nel prevedere l’autonomia dei comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza, derogano alla regola generale, limitando il modello organizzativo utilizzabile a due soli schemi rispetto al più ampio novero di soggetti che, nella qualità di amministrazioni aggiudicatrici, potenzialmente possono assumere la veste di centrale di committenza.

Inoltre, il modello organizzativo del consorzio tra i comuni – tenuto conto della definizione di “amministrazione aggiudicatrice” dell’art. 3, comma 25, in cui il riferimento è ai “consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti” ovvero ai consorzi costituiti solamente tra soggetti pubblici – sembra richiamare una forma di cooperazione tra comuni di tipo pubblicistico, come quella prevista dall’art. 31 del Testo unico degli enti locali, che esclude la partecipazione di soggetti privati. Ciò comporta un’ulteriore limitazione del modello di centrale di committenza cui rimettere la funzione di acquisito di beni e servizi.

Peraltro, l’espresso riferimento ai comuni non capoluogo di provincia, ossia ad una connotazione territoriale degli enti aderenti, induce a ritenere che l’ambito di operatività della centrale di committenza sia limitato al territorio dei comuni compresi nell’unione dei comuni ovvero costituenti il consorzio.

La Sezione dubita che il quadro normativo interno, come precedentemente ricostruito, sia compatibile con i principi del diritto euro-unitario.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, infatti, la scelta legislativa interna di imporre ai piccoli comuni di utilizzare quali centrali di committenza le unioni dei comuni se esistenti ovvero di costituire un consorzio di comuni sembra contrastare con la possibilità del più ampio ricorso alle centrali di committenza senza limitazione di forme di cooperazione. Infatti circoscrive i soggetti cui possono essere affidate funzioni di committenza, senza che ciò risulti adeguatamente giustificato dalla natura delle prestazioni, che non prevedono l’esercizio di prerogative pubblicistiche.

La scelta di ricorrere ad un modello organizzativo che esclude la partecipazione di soggetti privati, quale il consorzio di comuni di cui all’art. 31 del Testo unico degli enti locali, può altresì apparire in contrasto con i principi euro-unitari di libera circolazione dei servizi e di massima apertura alla concorrenza, limitando ai soli soggetti pubblici italiani, tassativamente individuati, l’esercizio di una prestazione di servizi qualificabile come attività di impresa e che, in questa prospettiva, potrebbe meglio essere svolta in regime di libera concorrenza nel mercato interno.

La scelta di limitare l’ambito di operatività delle centrali di committenza che operano per i piccoli comuni al territorio comunale sembra, anch’essa, in contrasto con il principio di libera circolazione dei servizi e il principio di massima apertura alla concorrenza, poiché istituisce zone di esclusiva nell’operatività delle centrali di committenza.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, la Quinta Sezione ha così rimesso alla Corte di Giustizia UE le seguenti questioni: se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi,  una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che: a) limita l’autonomia dei Comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio tra comuni da costituire; b) letto in combinato disposto con l’art. 3, comma 25, dello stesso decreto, in relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire figure di diritto privato quali, ad es., il consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati; c) ove interpretato nel senso di consentire ai consorzi di Comuni che siano centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti unitariamente considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza.

Si tratta di questioni di rilevante impatto, considerati anche i problemi definitori sottesi alle medesime nozioni contenute nel nuovo codice di cui al D.lgs n. 50/2016.

Per consultare la sentenza clicca il seguente link:

Cons. St., sez. V, ord., 3 gennaio 2019, n. 68 – Pres. Severini, Est. Di Matteo